Mettere sé stessi al centro della propria scena

 

Lo psicodramma analitico permette di mettere meglio a fuoco noi stessi, recuperando uno sguardo sulla propria storia personale, in una dialettica costante di verbalizzazione e drammatizzazione che coinvolge tutti i partecipanti.

 

Il mio interesse per la tecnica psicodrammatica si è innestato, ormai diversi anni fa, su una profonda passione per il teatro e l’arte scenica in generale che mi accompagna fin da piccola.

 

E dire che sono una persona estremamente riservata, che non ama raccontarsi e che, piuttosto, attende di essere scoperta. Accade però che intorno ai dieci anni scopro il teatro e accade l’imprevedibile: sul palco questa mia indole introversa trova la propria dimensione, e scopro di poter scendere nelle profondità della mia persona; ciò che di me stessa neanche immaginavo di poter scoprire può essere finalmente studiato, approfondito e modellato fino a diventare carattere, personaggio, individuo.

 

Konstantin Stanislavskij, attore e regista russo ideatore dell’omonimo metodo attoriale (chi non l’ha mai sentito nominare?), descrive il lavoro che l’individuo deve compiere su sé stesso per arrivare a essere un buon attore. Un attore, cioè, in grado cioè di dominare e di sollecitare opportunamente la propria natura nascosta per poter agire sull’esterno, attraverso la maschera drammatica, e dotare così il personaggio di una vita emotiva perfettamente credibile. Ogni personaggio che ambisca a essere più di una sagoma bidimensionale deve infatti necessariamente essere dotato di una vita interiore; questa però non nasce né dall’imitazione né dalla finzione, bensì da una verità interiore pienamente vissuta, fatta di emozioni sofferte e portate alla luce tramite l’osservazione di sé e degli altri. Forse è per questo che personalmente prediligo i personaggi grezzi, rozzi, sporchi, bassi: perché non capita tutti i giorni di poter liberare quelle parti di se stessi senza conseguenze.

 

All’università, le lezioni sullo Psicodramma Analitico furono una meraviglia; decisi però di formarmi come psicodrammatista grazie alla mia analisi personale: sdraiata sul lettino conobbi tanti personaggi diversi e tutti, con più o meno forza, erano presenti nella mia vita interiore. Pensai che poter dar vita ai personaggi interni dei miei pazienti - che regalare loro questa opportunità – sarebbe stato uno dei miei obiettivi professionali.

 

Il tratto specifico che caratterizza lo psicodramma analitico rispetto ad altre tecniche di gruppo è lo svilupparsi del discorso del gruppo stesso attraverso la costante dialettica tra due piani: quello dell’espressione verbale e quello della presentificazione drammatica. La tecnica psicodrammatica affianca alla sovrapposizione tra mondo del soggetto e mondo del gruppo, propria anche delle altre terapie analitiche, la sovrapposizione di scene interiori evocate dalle parole e di scene visibili evocate dai giochi. Il parlare di un membro del gruppo (o del gruppo nel suo insieme) di un evento, di una questione, di un conflitto o di un sintomo viene costantemente riportato alla rappresentazione di una scena concreta, riferibile a un tempo e a uno spazio della storia personale di uno dei presenti.

 

Lo psicodramma offre un’altra arricchente possibilità di favorire l’esprimersi e il dipanarsi degli affetti ed è rappresentata dal gioco. Gli affetti infatti scaturiscono dalle immagini e affiancano, al potere espressivo dei simboli verbali, il potere espressivo del corpo come canale dall’elevato valore drammatico. Come vedremo meglio nel prossimo articolo, la drammatizzazione a sua volta evoca negli altri partecipanti sentimenti, ricordi, considerazioni, associazioni dai quali scaturiranno le scene successive.